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[Animali] - Fao: Necessario promuovere uso responsabile delle risorse ittiche, articolo da Repubblica

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Giains
CAT_IMG Posted on 16/8/2016, 09:57     +1   -1




Pesca eccessiva e distribuzione incontrollata. Fao: "Uso responsabile delle risorse ittiche"
L'ultimo rapporto sullo Stato della pesca e dell'acquacoltura dell'agenzia dell'Onu segnala la preoccupante crescita del commercio e del consumo, che mette a repentaglio la biosostenibilità

T1GEnil

Il miracolo di moltiplicare i pani, alla Fao lo sanno bene, è tutt'altro che facile. Ma ora serve anche qualcuno che sappia moltiplicare i pesci, perché la generosità degli oceani sta per raggiungere il limite. Le abitudini alimentari stanno cambiando in tutto il pianeta, l'attenzione ai prodotti della pesca aumenta, e secondo l'ultimo rapporto dell'agenzia Onu sullo Stato della pesca e dell'acquacoltura ormai il consumo pro capite è arrivato a 20 chilogrammi l'anno, pari a circa il 6,7 per cento delle proteine totali. Il consumo è a livelli doppi rispetto agli anni Settanta, e cresce a ritmi molto superiori alla crescita della popolazione. Come dire che la passione per il pesce aumenta proprio mentre il patrimonio sottomarino dà evidenti segni di esaurimento. Ma più che un allarme, quello della Fao è un invito all'utilizzo responsabile, tanto più che l'allevamento è ormai in grado di fornire quasi la metà del pesce che finisce in tavola.

Secondo il rapporto dell'agenzia, "quasi un terzo degli stock di pesce sono prelevati a ritmi biologicamente insostenibili", cioè a livelli triplicati rispetto a quarant'anni fa, con una velocità che non permette il ricambio. La situazione è ancora più preoccupante per il Mediterraneo e per il mar Nero: nelle acque di quest'ultimo il pesce pescato a livelli insostenibili raggiunge il 59 per cento. A rischio sono i pesci sui piatti di tutti i giorni: orate, merluzzi, muggini, sogliole. "Ormai i margini per aumentare le catture sono molto ridotti", dice il biologo Alessandro Lovatelli, tecnico della Fao, "ci sono invece spazi di miglioramento nel sistema di distribuzione, è un'area in cui si può fare molto per evitare gli sprechi".

Nel 2014 il prelievo ha raggiunto 93,4 milioni di tonnellate: in testa il merluzzo d'Alaska, definito "la più grande riserva di pesce commestibile nel mondo", ha superato l'acciuga del Cile, ma è andata bena anche la pesca di tonno, gamberi, crostacei e cefalopodi. A inseguire il tesoro sommerso sono 4,6 milioni di barche da pesca, il 90 per cento attive nelle acque di Asia e Africa. E in gran parte si parla di attività di piccola scala: secondo il rapporto Fao solo 64 mila sono lunghe 24 metri o più.

L'esportazione del pesce "vale", stando ai dati del 2014, attorno ai 148 miliardi di dollari: ma è fondamentale soprattutto per i paesi in via di sviluppo, che ne ottengono ricavi superiori all'esportazione di carne, tabacco, zucchero e riso messi insieme. Ma più che la pesca, la carta vincente è l'acquacoltura, attualmente in grado di produrre 73,8 milioni di tonnellate di pesce, crostacei e molluschi per l'alimentazione umana. E metà di questa produzione viene da specie non alimentate dall'uomo, e dunque non comporta il sacrificio di altre proteine sottraendole all'uso umano. "E bisogna smentire il mito della minore qualità del pesce allevato: in genere il prodotto dell'acquacoltura è più controllato, perché si può scegliere l'alimentazione e monitorare la fase di produzione primaria. Prendiamo il salmone: nonostante sia per la maggior parte di allevamento, è di fatto un pesce di qualità. Ha un prezzo elevato perché l'offerta non basta a soddisfare la domanda", spiega Audun Lem, vice direttore della Divisione Politiche Ittiche e Acquacoltura della Fao: "Quello che conta è che il lavoro sia fatto bene e che si rispettino le buone pratiche. L'acquacoltura è un lavoro che non si può improvvisare, l'allevatore che sbaglia va fuori mercato". Meno ottimista Serena Maso, della campagna Mare di Greenpeace, secondo cui "al momento l'acquacoltura comporta ancora problemi di inquinamento che ci fanno considerare più sostenibile il consumo di pesce pescato".

A guidare il boom nell'allevamento subacqueo non sono in genere i Paesi sviluppati, a parte la Norvegia, che è il secondo esportatore mondiale: in testa c'è la Cina, ma anche Vietnam, Cile, Indonesia e tante nazioni africane stanno facendo la loro parte, tanto che la Nigeria ha moltiplicato per venti la sua produzione negli ultimi vent'anni. Gli esperti però sanno che il contributo dell'acquacoltura non compensa i danni della pesca illegale, con prelievi sproporzionati, spesso non autorizzati dai paesi costieri oppure concordati da regimi autoritari, a danno dei piccoli pescatori. Adesso però qualche motivo di ottimismo c'è: nei giorni scorsi è entrato in vigore l'Accordo internazionale sulle misure per gli stati di approdo, che impone controlli ai pescherecci nei paesi dove vanno a scaricare il pescato. "E' una novità positiva, ma solo un primo passo", chiarisce Serena Maso, "i controlli riguardano le barche straniere, ma servirebbero anche per le flotte nazionali". E resta il problema dello sfruttamento eccessivo, delle monster-boat, navi immense che svuotano i mari, stivando anche 3700 metri cubi di pesce e di fatto rendendo impossibile la concorrenza impossibile dei pescatori artigianali. "Ma è la pesca tradizionale, con mezzi non industriali, ad avere effetti economici positivi sulle comunità costiere. E invece ormai i pescatori non trovano mercato per i loro pesci, troppo cari. E finisce che nelle mense scolastiche anziché prodotti del Mediterraneo per risparmiare si serve il pangasio del Mekong, pescato in uno dei fiumi più inquinati del mondo".

articolo di Giampaolo Cadalanu

Fonte: Repubblica
Immagine: Free stock photos
 
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