La Fenice

SAPEVATELO: pillole di curiosità, In aggiornamento

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gabriellaericcardo
CAT_IMG Posted on 16/8/2013, 15:14     +1   -1




CITAZIONE (Katerpillar @ 16/8/2013, 16:05) 
Poi.. bè le urine erano anche un disinfettante. Mio suocero mi raccontava che ai suoi tempi in campagna usava disinfettarsi le ferite prendendo ( orrrore orrore) le ragnatele più nere e spesse, coprire con quelle le ferite e farci pipì sopra. Assicurava che funzionava benissimo. :wacko:

l'ho visto utilizzare per disinfettare le ferite, i morsi di medusa ...
 
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Katerpillar
CAT_IMG Posted on 16/8/2013, 15:30     +1   -1




CITAZIONE (gabriellaericcardo @ 16/8/2013, 16:14) 
CITAZIONE (Katerpillar @ 16/8/2013, 16:05) 
Poi.. bè le urine erano anche un disinfettante. Mio suocero mi raccontava che ai suoi tempi in campagna usava disinfettarsi le ferite prendendo ( orrrore orrore) le ragnatele più nere e spesse, coprire con quelle le ferite e farci pipì sopra. Assicurava che funzionava benissimo. :wacko:

l'ho visto utilizzare per disinfettare le ferite, i morsi di medusa ...

:blink: ma veramente?

Comunque non vorrei dire ma secondo me funziona solo se ciascuno utilizza le proprie....Non mi sembra tanto salubre usare quella altrui.... :unsure:
 
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gabriellaericcardo
CAT_IMG Posted on 16/8/2013, 15:43     +1   -1




Il mito della pipì sulle punture di medusa


Perché serva a qualcosa dev'essere speciale: meglio l'aceto o l'acqua di mare, spiega la Croce Rossa britannica

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Probabilmente anche in questo momento là fuori, tra le onde del mare, qualcuno è stato punto da una medusa, è uscito dall’acqua e si e ritrovato l’esperto di turno che gli ha consigliato di fare la pipì sopra la ferita per ridurre il dolore e l’infiammazione. Se il tizio in questione è molto volenteroso, probabilmente si è anche offerto di provvedere egli stesso, a torto. L’urina, infatti, non ha un particolare effetto nel ridurre il dolore da puntura di medusa: è meglio l’aceto, dicono gli esperti, e per chi non lo ha a portata di mano può andare bene anche l’acqua stessa del mare.

In una recente intervista concessa al Telegraph, il capo della Croce Rossa britannica ha provato a sfatare per l’ennesima volta il mito della pipì e delle sue doti taumaturgiche contro le punture di medusa.

Se le persone vengono punte, devono uscire dall’acqua subito per evitare di essere nuovamente punte. Una volta uscite, un po’ di acqua di mare sulla ferita ridurrà il dolore. La stessa cosa può essere fatta anche con l’aceto per ottenere un migliore effetto poiché la forte acidità aiuta a neutralizzare i filamenti urticanti.

In ordine di migliore efficacia nel ridurre il dolore ci sono: l’aceto, l’alcol isopropilico (quello trasparente), acqua di mare e per ultima urina. I componenti acidi presenti in questi composti neutralizzano i filamenti urticanti delle meduse, i nematocisti o gli spirocisti. Questi si trovano negli cnidociti, cellule che si attivano quando vengono sfiorate da un altro organismo e che contengono al loro interno un liquido urticante che nell’uomo crea reazioni infiammatorie acute. In genere chi viene punto sviluppa un eritema, notevole gonfiore e una forte sensazione di dolore e bruciore, accompagnata anche dalla comparsa di vescicole.

Secondo gli esperti, l’urina non è una buona soluzione per ridurre l’effetto urticante perché non si presenta mai nella medesima concentrazione. Se è molto concentrata, può in effetti funzionare, ma in una persona che beve la giusta quantità di acqua al giorno la diluizione è tale da avere lo stesso effetto dell’acqua fresca sulla ferita.

Dopo aver irrorato la parte di pelle punta, occorre procedere alla rimozione dei nematocisti. Per farlo si può ricorrere a un lavaggio energico con acqua salata. L’operazione permette di rimuovere le cellule urticanti, riducendo l’effetto della puntura. Se le cose non migliorano conviene comunque farsi vedere da un medico.

Fonte: Il Post
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 16/8/2013, 16:01     +1   -1




Di sicuro l'unica cosa da NN fare con le punture da medusa è metterci acqua dolce :)
 
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gabriellaericcardo
CAT_IMG Posted on 20/8/2013, 16:24     +1   -1




Qual è il colore più diffuso tra i fiori?



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in natura, il colore più diffuso è il verde. Sebbene l’uomo apprezzi fiori dalle tonalità brillanti, che dunque prevalgono nelle varietà coltivate, l’evoluzione ha agito con altri criteri. La maggior parte delle piante, per esempio, ha una fecondazione anemofila, il che significa che il polline viene trasportato dal vento. I loro fiori dunque, non hanno la necessità di essere né appariscenti né colorati, come accade per le specie fecondate dagli insetti, che sono solo un decimillesimo di quelle anemofile. Poiché il pigmento più diffuso nei vegetali è la clorofilla, i fiori delle anemofile sono dunque verdi, oppure bianco-verdi. In seconda posizione si trova invece il bianco. Questo colore infatti, come il verde, permette una buona riflessione dei raggi ultravioletti, sui quali si basa la vista delle api e di altri insetti. Il bianco, inoltre, riflette al meglio la luce anche quando non splende il sole e può essere visto nell’ombra. In base alle preferenze degli insetti, vengono poi il giallo, l’azzurro e il rosa.

Poco rosso e blu
Il rosso, nonostante sia invece molto apprezzato dall’uomo, è in realtà poco diffuso, tranne che nelle foreste tropicali dove l’impollinazione viene spesso assicurata da uccelli come il colibrì. Anche il blu scuro è una rarità (e non a caso anche in floricoltura è difficile ottenerlo): assorbe infatti quasi del tutto l’ultravioletto, diventando pressoché invisibile agli occhi di un insetto.

Fonte: Focus
 
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gabriellaericcardo
CAT_IMG Posted on 23/8/2013, 21:13     +1   -1




Perché i baci altrui infastidiscono?



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Il bacio romantico attiene alla sfera della sessualità, per cui può essere considerato un'offesa al pudore o un esempio di esibizionismo. Nel 1921, la Cassazione sentenziava che «il bacio, se dato in luogo pubblico con forma scorretta e tale da essere verosimilmente interpretato come atto impudico, viola il diritto che compete a ogni cittadino di non essere turbato nel suo senso morale con spettacoli inverecondi». Nonostante negli ultimi decenni la morale pubblica sia diventata più tollerante, vedere due persone baciarsi dà emozioni piuttosto intense che non sempre sono positive.

Tutta invidia?
Colpa dei neuroni specchio: questi fanno sì che, quando vediamo compiere un'azione, nel nostro cervello si attivino le stesse aree di quando siamo noi stessi a eseguirla. Chi guarda due persone che si baciano dovrebbe, quindi, condividere il loro piacere. Ma può anche scattare l'impulso a volere fare la stessa cosa, con conseguente senso di frustrazione se ciò non è possibile.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 30/8/2013, 09:07     +1   -1




In quale paese sono stati scoperti più dinosauri?

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Nonostante le straordinarie scoperte effettuate negli ultimi anni in Cina e in Sudamerica, a tutt'oggi ben l'89 per cento dei tipi di dinosauro conosciuti è stato rinvenuto negli Stati Uniti, più che in qualunqua altro paese.

L'immagine sopra riproduce una coppia di stegosauri, creature del tardo Giurassico, mentre avanzano in una foresta dell'America del Nord. Questi lenti ed enormi erbivori potevano raggiungere i nove metri di lunghezza e pesare fino a due tonnellate. Le tipiche placche su tutto il dorso erano alte anche un metro.

Fonte: National Geographic
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 5/9/2013, 07:59     +1   -1




7 cose che forse non sapevi sugli arcobaleni

Per esempio, si vedono anche di notte e... ognuno vede il "suo" personale. Queste e altre stranezze su uno dei più spettacolari fenomeni ottici dell'atmosfera.



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Un arcobaleno nei cieli dell'Isola di Harris, nelle Ebridi, in Scozia. Photo © Lee Frost/Robert Harding World Imagery/Corbis



Si formano quando i raggi del Sole attraversano la miriade di goccioline d'acqua sospese nell'aria dopo un temporale (o vicino a una cascata) e appaiono come uno spettro di luce quasi continua, con le tradizionali "sette bande" colorate.

Ma se pensate di aver imparato tutto quello che c'è da sapere sugli arcobaleni tra i banchi di scuola probabilmente vi sbagliate. Questo fenomeno ottico e meteorologico, un tempo considerato alla stregua di un segnale divino, non smette mai di stupirci. Ecco altre 7 curiosità sugli archi di luce che forse finora vi erano sfuggite.

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1. Difficilmente ne vedrai uno a mezzogiorno. Gli arcobaleni sono più facili da vedere al mattino e nel tardo pomeriggio, e non è un caso: affinché la rifrazione avvenga correttamente, i raggi solari devono colpire le gocce d'acqua con un'inclinazione di circa 42 gradi. Se il Sole si trova a un'altezza maggiore, come in genere avviene nel momento in cui è più alto sopra alle nostre teste, purtroppo ci perderemo lo spettacolo.

2. Potresti vederne uno anche di notte. In questo caso, però, a generare il fenomeno non è la luce solare, ma quella della Luna (si parla allora di arcobaleni lunari). Questi archi di luce si formano di rado, solo nelle notti terse in cui la luce lunare è particolarmente intensa. Ma poiché il nostro occhio non è in grado di identificare i colori al buio, ci appariranno come semplici archi bianchi (bianchi sono anche i cosidetti arcobaleni di nebbia: clicca sulla fotogallery per vederne uno).

3. Due persone non vedono mai lo stesso arcobaleno. Neanche assistendo allo stesso spettacolo fianco a fianco voi e la vostra dolce metà osserverete il medesimo fenomeno. In primo luogo, perché le gocce d'acqua che lo generano sono in costante movimento; poi, perché l'arcobaleno è un arco di cerchio il cui centro si trova sulla linea ipotetica che congiunge il Sole agli occhi dell'osservatore. E gli occhi di due persone non possono occupare la stessa posizione nello stesso momento.

4. Non potrai mai raggiungere la fine di un arcobaleno. Secondo una leggenda irlandese, alla fine di ogni arcobaleno si trova una pentola piena d'oro. Peccato che non vedremo mai l'estremità di questi archi colorati: quando ci spostiamo si sposta anche l'arcobaleno che i nostri occhi vedono, che si forma a una distanza e secondo un'angolazione specifica rispetto all'osservatore.

5. Non potrai mai distinguere tutti i colori di un arcobaleno. Anche se la teoria "classica" prevede solo 7 colori (rosso, arancione, giallo, verde, blu, indaco e violetto) ogni arcobaleno è di fatto costituito da uno spettro continuo di colori. I nostri occhi ne potrebbero percepire circa un milione, ma tutte queste sfumature si fondono in 7 colori principali quando ne vediamo uno.

6. Potrebbe capitarti di vedere un arcobaleno doppio, triplo e addirittura quadruplo. Non avresti le traveggole, si tratta di fenomeni causati dalla doppia (nel caso del secondario) riflessione dei raggi rifratti dalle gocce d'acqua. Più raramente può capitare di avvistare un terzo, o un quarto (ma i casi si contano sulla punta delle dita!) arcobaleno, ma questi sono posti generalmente dallo stesso lato del Sole, pertanto è molto più difficile osservarli.

7. Puoi far scomparire un arcobaleno. Non si capisce perché dovresti, ma è possibile, con l'aiuto di un paio di occhiali da sole polarizzati: questi sono infatti rivestiti con un sottile strato di molecole allineate verticalmente, che bloccano la luce riflessa da piscine e altre superfici piatte (polarizzata invece orizzontalmente), prevenendo il riverbero. In questo modo viene bloccata anche la luce degli arcobaleni, come si vede in questo video:



Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 13/9/2013, 19:15     +1   -1




Ci sono ibridi pianta-animale?

L’Elysia chlorotica è una lumaca, dunque un animale, che ha imparato come “nutrirsi con il sole”, come fanno i vegetali. Ha la forma di una foglia e quando è ancora giovane “ruba” i cloroplasti – ossia gli organelli al cui interno si svolge la fotosintesi – e alcuni geni alle alghe con cui condivide in simbiosi i fondali marini. In tal modo è in grado di produrre zuccheri partendo dall’acqua, dall’anidride carbonica e dal sole, sopperendo a periodi di mancanza di cibo. Può sopravvivere in questo modo anche per un anno.

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Vita ambivalente
L’Elysia vive principalmente nelle saline o nelle aree battute dalle maree ed è caratteristica degli Stati Uniti e del Canada. In realtà sono note anche altre lumache che prendono cloroplasti da alghe con le quali vivono in simbiosi, ma il fenomeno in questi casi è limitato nel tempo. L’Elysia, invece, può vivere come animale o come vegetale per tutta la vita.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 24/10/2013, 16:49     +1   -1




Qual è l'animale con i denti più duri al mondo?

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I denti del chitone sono di ferro e sono in grado di masticare le rocce (Lyle Gordon/Northwestern University)



L' animale con i denti più duri al mondo è il chitone, un mollusco marino della classe dei Poliplacofori che vive sul fondo dei mari e degli oceani senza subire significative mutazioni da oltre 400 milioni di anni.
Questo mollusco, riconoscibile per la conchiglia ovale formata da otto piastre, si nutre delle alghe che stacca dalle rocce garzie ai suoi robustissimi denti fatti di magnetite, un ossido del ferro tra i più duri esistenti sul pianeta.
Lyle Gordon, una ricercatrice della Northwestern University di Evanston (Illinois, USA), ha studiato a fondo i denti del mollusco per cercare di capire come riesce a sintetizzare la magnetite, che in natura si forma a condizioni di temperatura e pressione straordinariamente elevate.
Gli scienziati hanno "smantellato" un dente di chitone atomo per atomo utilizzando una speciale sonda atomica: sono così riusciti a metterne a nudo la struttura e a scoprire che il segreto del mollusco è nascosto nel gel al centro del suo dente.
Questo materiale contiene infatti una struttura formata da fibre di carboidrati che legano le proteine in grado di raccogliere il ferro, formando così un robusto guscio di magnetite.
La scoperta potrebbe aprire la strada a nuovi processi industriali per la realizzazione di metalli di sintesi e nuove leghe super resistenti.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 27/10/2013, 16:46     +1   -1




Perché lo scarabeo stercorario fa bene all'ambiente?



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Per quanto appaia improbabile, lo scarabeo stercorario, con la sua sordida abitudine di nutrirsi di sterco di ruminanti e usarlo per conservare le sue uova, potrebbe darci una mano contro il riscaldamento globale.

L'allevamento di bestiame è un business che produce molto gas: secondo le Nazioni Unite, gli oltre 1.3 miliardi di grandi ruminanti allevati nel mondo - mucche da latte e da macello, pecore, capre e bufali - emettono una quantità di gas serra superiore persino a quella prodotta dall'industria dei trasporti.

Questi animali generano circa un terzo delle emissioni globali di metano - al resto ci pensano le industrie di petrolio e gas e le discariche - un gas che è anche più potente della famigerata CO2.

Qualsiasi animale che possa contenere l'emissione di gas, quindi, meriterebbe considerazione. Alcuni ricercatori dell'Università di Helsinki hanno davvero effettuato una ricerca, pubblicata di recente su PLOS ONE, per capire se gli scarabei stercorari abbiano un impatto sulla quantità di metano rilasciata dallo sterco di mucca.

In questo senso, l'effetto degli scarabei è dovuto soprattutto alle tane e ai tunnel che scavano nello sterco. Il metano, infatti, nasce in condizioni anaerobiche, cioè in assenza di ossigeno, quindi l'aerazione prodotta da questi insetti riduce la produzione e il rilascio in atmosfera di metano.

Secondo lo studio, però, la presenza di questi scarabei incrementerebbe allo stesso tempo il rilascio di un altro gas serra, l'ossido di azoto, e se questo effetto negativo compensi l'effetto positivo rilevato sul rilascio di metano non è ancora chiaro.

Purtroppo gli scarabei stercorari, come molte altre specie animali, stanno scomparendo. Soltanto in Finlandia, per esempio, più della metà di specie di questo insetto sono a rischio di estinzione o quasi estinte.

Le ragioni sono varie, per esempio la mancanza di varietà e la pessima qualità dello sterco degli animali allevati: gli allevamenti intensivi di certo non favoriscono la biodiversità, e il bestiame viene imbottito di sostanze chimiche, tra farmaci anti-parassitari e antibiotici.

Il modo migliore per aiutare gli scarabei a fare il loro lavoro e a sopravvivere - oltre che di rendere le condizioni di vita degli animali allevati meno impietose - sarebbe lasciar pascolare libero il bestiame, e su vari tipi di terreno. Ovviamente non possiamo contare solo su questi insetti per contenere i gas serra, ma perché non considerarli?

Fonte: National Geographic
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 30/10/2013, 17:33     +1   -1




Le api atterrano col "pilota automatico"



Gli insetti più indaffarati del mondo animale hanno una tecnica semplice ma ingegnosa per planare dolcemente sui fiori: gli esperti la stanno studiando per applicarla sui droni.


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Durante il giorno le api visitano, instancabili, decine di fiori: ma come fanno a planare dolcemente sull'obiettivo senza mai sbagliare un atterraggio?

Questi insetti riescono a effettuare il perfetto "touchdown" valutando quanto velocemente l'oggetto su cui atterreranno si espande ai loro occhi, a mano a mano che vi si avvicinano: sono le conclusioni di una ricerca appena pubblicata su Proceedings of the National Academies of Science.

Poche risorse ben ottimizzate

«L'atterraggio è la parte più difficile di ogni manovra aerea», spiega Mandyam Srinivasan, neuroscienziato esperto di visione animale dell'Università del Queensland (Australia) e coautore della ricerca. «A mano a mano che ti avvicini al terreno devi rallentare in modo da raggiungerlo praticamente a velocità zero. Il calcolo dei tempi deve essere perfetto.»

Il punto è che le api hanno cervelli grandi quanto un seme di sesamo, certo non in grado di stimare il tempo che rimane in base alla distanza, e non sono dotate di visione stereoscopica, la stessa che permette agli esseri umani di calcolare la distanza da un obiettivo. Devono per forza sfruttare una tecnica diversa, si sono detti Srinivasan e colleghi.

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Una delle fasi dell'esperimento: l'ape si avvicina alla spirale rotante. Photo courtesy: Mandyam Srinivasan, Julia Groening, Dean Soccol and Dee McGrath.



Come funziona il "pilota automatico"

Quando ci dirigiamo verso un oggetto lo vediamo via via sempre più grande e, anche se manteniamo una velocità costante, le sue dimensioni apparenti aumentano in modo esponenziale. «Le api non permettono che questo accada - spiega Srinivasan - ma regolano costantemente la propria velocità di avvicinamento in modo l'immagine dell'oggetto su cui vogliono atterrare si espanda sulla loro retina in maniera costante.»

Se la percentuale di spazio occupata sulla retina aumenta lievemente e in modo regolare, l'insetto sa che la sua velocità è adeguata. Questo metodo di valutazione assicura alle api atterraggi morbidi e senza rischi. Per arrivare a comprenderlo, i ricercatori hanno analizzato filmati del volo degli insetti ed elaborato un modello matematico per spiegare la modulazione della loro velocità.

A riprova della loro teoria, in una seconda fase dell'esperimento hanno fatto atterrare gli insetti su un pannello con sopra montata l'immagine di una spirale: questa appariva più grande o più piccola a seconda della direzione in cui veniva ruotata.

Quando la spirale sembrava espandersi le api hanno "tirato il freno" perché, evidentemente, hanno visto l'oggetto espandersi velocemente sulla propria retina e credevano di essere più vicine di quanto fossero in realtà. Quando invece la figura sembrava rimpicciolirsi gli insetti hanno accelerato, schiantandosi in alcuni casi contro il pannello per l'incapacità di valutarne la distanza effettiva.

Verso la biomimetica

La scoperta potrebbe servire a sviluppare sistemi di atterraggio per droni e robot che sfruttino questo semplice principio e non debbano avvalersi di costosi radar o sonar per valutare le distanze. L'ennesima lezione che possiamo trarre dal mondo naturale.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 1/11/2013, 15:56     +1   -1




Qual è il cane che fa la cacca più grossa?

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Molto probabilmente l’alano (o “grande danese”): secondo alcune stime, ogni suo escremento pesa all’incirca 500-700 grammi. Il sanbernardo, però, lo batte sulla distanza: in un anno defeca più spesso e ne produce 180 kg di più! Esattamente come accade agli esseri umani, il volume degli escrementi canini dipende dalla stazza, dal metabolismo, dallo stato di salute e soprattutto dalla dieta: basti pensare che il fabbisogno di cibo di un alano (circa 1.200-1.500 grammi al giorno), o di un sanbernardo (900-1.200 gr/giorno), corrisponde a quello di una persona adulta, e non è paragonabile a quello del minuscolo chihuahua (40-70 gr/giorno).

Ne fanno tanta
Secondo alcuni, più il cibo è preconfezionato anziché casalingo (es. riso, verdura, pollo), maggiore è il volume delle deiezioni, e quindi il “superlavoro” dei rispettivi padroni, armati di sacchetto, obbligati a raccogliere i “ricordini” dai marciapiedi: un gesto da ripetere 2/3 volte al giorno, per anni, e che in molti casi equivale a una fatica davvero titanica.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 2/11/2013, 16:29     +1   -1




Perché non esiste un premio Nobel per la matematica?



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Alfred Nobel.



La matematica non rientrava tra gli interessi primari di Alfred Nobel, più votato alle scienze con applicazioni pratiche (come la chimica) che a quelle di speculazione teorica. Sembra questa la motivazione di questa lacuna.

Premio erotico
Ma c’è anche un retroscena un po’ pepato (e non confermato) che spiegherebbe in altro modo questa mancanza. Nobel avrebbe deciso di escludere la matematica dalle discipline premiate dopo aver scoperto che una sua amante lo aveva tradito con un famoso matematico svedese, Magnus Gustaf Mittag-Leffler.
Se avesse istituito il riconoscimento per la matematica, l’Accademia Reale svedese avrebbe probabilmente assegnato proprio a Mittag-Leffler la prima edizione del premio per i suoi studi sulle funzioni analitiche, sul calcolo delle probabilità e sulle equazioni differenziali omogenee.
Cornuto e mazziato sarebbe stato troppo.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 5/11/2013, 08:32     +1   -1




Perché non si può scendere oltre lo zero assoluto?

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Si può scendere al di sotto di questa temperatura, ma non (in linea teorica) sotto allo zero assoluto.



a temperatura di un corpo fornisce un’indicazione dell’energia termica che esso possiede, cioè dell’energia dovuta al moto di agitazione degli atomi che lo compongono. Lo zero assoluto corrisponde a un'energia termica nulla, quella di atomi perfettamente immobili. Quindi, pensare di scendere al di sotto dello zero assoluto non ha senso, perché una volta raggiunta l’immobilità, gli atomi non possono fermarsi ulteriormente.

Piccoli passi. Tuttavia, si tenga presente che le tecniche finora usate per raggiungere lo zero assoluto impongono una serie di passaggi, per ognuno dei quali il salto da una temperatura più alta a una più bassa diventa sempre più piccolo: per fare un esempio, è come se per raggiungere un posto si fosse costretti a procedere a passi sempre più corti, con il rischio di non raggiungere mai la meta.

Recentemente in un esperimento si è riusciti a scendere oltre lo zero assoluto con vari stratagemmi e per un tempo infinitamente piccolo.

Fonte: Focus
 
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74 replies since 19/7/2013, 13:53   1404 views
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