Bella intervista ad Anna e Luca dal sito Artonice...
Anna Cappellini e Luca Lanotte: “interpretiamo Rossini per portare la cultura italiana sul ghiaccio di Sochi”
Inserito il Gio, 07/11/2013 - 15:32.
Anna Cappellini e Luca Lanotte si apprestano ad affrontare la stagione olimpica, regalando al mondo della danza sul ghiaccio programmi straordinari, in cui le musiche e l’intensità espressiva si mescolano, sapientemente, agli aspetti tecnici. La scelta per la free dance dell’overture del “Barbiere di Siviglia” di Rossini toglie il fiato e trascina lo spettatore sul ghiaccio, in un crescendo di emozioni che cattura, strega, affascina e fa trattenere il respiro: quelle stesse emozioni che la coppia italiana promette di trasmettere sul ghiaccio di Sochi. Dopo un brillante esordio nella Tappa di Grand Prix di Skate America, con la conquista del 2° posto, e alla vigilia dell’NHK Trophy di Tokyo, Anna Cappellini e Luca Lanotte si raccontano e lo fanno con la leggerezza, ma anche con la serietà che li contraddistingue sempre.
Luca, sappiamo che hai avuto un infortunio al collo a inizio stagione, per questo avete dovuto rinunciare all’Ondrej Nepela Memorial, ora come stai?
Luca: Ora sto bene. In realtà, non è stato un infortunio gravissimo, però è successo il giorno prima di partire per Bratislava e non abbiamo voluto rischiare che peggiorasse.
Complimenti per le vostre performance a Skate America, vi aspettavate un’accoglienza così calda per questi nuovi programmi?
Anna: diciamo che noi siamo molto critici con noi stessi, quindi più che altro i dubbi più grandi sono sempre quelli che abbiamo noi. A Skate America abbiamo pattinato una short dance tutto sommato normale, nella media...
Luca: sì, sono state performance non eccezionali, anzi, il libero a mio avviso era addirittura sottotono, soprattutto io ho ceduto un po’, in particolare nell’ultimo minuto. La prima gara non è mai la migliore, ma è quella che ti fa pensare “ce la posso fare”, perché sono passati mesi dall’ultima competizione e non hai mai pattinato i nuovi programmi, quindi presentarli ufficialmente per la prima volta ti fa realizzare che puoi davvero riuscire ad eseguirli senza problemi.
Anna: in America abbiamo visto che tante delle cose su cui avevamo ancora qualche paura sono invece state apprezzate, quindi, siamo molto contenti. Il fatto di non aver potuto partecipare all’Ondrej Nepela Memorial ci ha privato della possibilità di avere un primo riscontro sui programmi: questo ci ha resi un po’ più insicuri, ma siamo rimasti piacevolmente sorpresi dal fatto che sia lo short che il libero siano stati subito graditi senza grosse riserve.
Parliamo proprio della SD, in passato ci avete detto di quanto il tipo di pattern obbligatorio influenzasse lo spazio a disposizione per poter interpretare la musica. La rumba di due anni fa, secondo voi, lasciava più margini rispetto al valzer dell’anno precedente. Come vi siete trovati con la polka della scorsa stagione? E con il finnstep di questa?
Anna: il finnstep e la polka ci hanno dato del filo da torcere in fase di costruzione, perché, comunque, sono due sequenze intere e, quindi, occupano molto tempo. Il finnstep poi, in particolare, porta via anche l’unica pausa che si potrebbe fare nel programma, per cui si tratterebbe di fermarsi nuovamente e, oltre al fatto che non è detto che si trovi il tempo per inserire un ulteriore stop, non ci si può certo interrompere troppe volte. Io, tra i due, sono quella che solitamente si diverte a cercare e tagliare le musiche, e posso dire che con il finnstep non mi sono divertita molto! È stata dura far quadrare tutto: trovare un tema, una selezione musicale che avesse un senso e inserire gli elementi nell’ordine in cui li volevamo eseguire.
Luca: devi trovare un’armonia tra musica ed elementi. Non vuoi che il tuo programma vada dove conduce soltanto la musica, ma non vuoi nemmeno creare dei tagli osceni per costruirlo come vuoi tu. Io, però, quantomeno nel nostro caso, ho trovato che le sequenze obbligatorie del finnstep e della polka fossero molto più integrate nell’insieme rispetto alla rumba, per esempio. La bellezza della rumba stava, sicuramente, nel fatto che le due sequenze fossero corte e separabili, ma, se penso al nostro programma, ricordo che c’era un certo distacco tra i pattern ed il resto, cosa che invece non è così evidente nella polka o nel finnstep.
Ecco, questa era un po’ la paura, non del tutto ingiustificata, di noi spettatori, quando è stata introdotta la short dance. Il fatto di vedere lo stacco tra le sequenze obbligatorie e il resto del programma. Voi che avete fatto entrambe le esperienze, preferite la short dance attuale o eravate più per la classica gara in tre fasi, con obbligatori, original dance e libero?
Luca: a me piace questo abbinamento short e free dance, ma, allo stesso tempo, mi spiace anche che siano stati eliminati gli obbligatori. A mio avviso mostravano un lato del pattinaggio che oggi non si vede più. Coppie che magari nel programma lungo pattinavano in un certo modo, erano molto diverse quando invece eseguivano una compulsory dance. L’obbligatorio ti metteva in condizione di essere vincolato a determinati passi, senza possibilità di scelta, e influisce molto, soprattutto ad un certo livello, su alcune coppie che hanno il loro stile e, magari, sono poco versatili.
Raccontateci la vostra short dance, sembra di vedervi danzare tra le strade di New York…
Anna: questo è un genere che a noi diverte moltissimo e ci appassiona. A Luca, poi, piace provare tutto: gli fai vedere un video di Fred Astaire, per esempio, e lui prova i passi, gioca con la musica... dobbiamo fermarlo perché potrebbe andare avanti ore così! Inoltre, Paola (Mezzadri, N.d.R.) ha una cultura immensa per quanto riguarda i musical ed io, come dicevo, mi diverto a tagliare le musiche, quindi, è tutto un lavoro di squadra. Questa musica in particolare l’ho subito amata, sarà anche perché l’ho pattinata tanti anni fa in un libero con Matteo (Zanni, N.d.R.) e, già allora, mi era piaciuta molto, ho pensato che sarebbe stato bello pattinarla ora, ad un altro livello, con i dettagli curati al massimo, con i costumi giusti... a proposito di costumi, Paola ha tirato fuori libri su libri da cui abbiamo tratto ispirazione per i costumi.
Luca: io adoro il mio papillon!
Il Barbiere di Siviglia è un programma ambizioso ed impegnativo. I critici hanno, infatti, rilevato come la musica di Rossini sia un crescendo continuo e non conceda pause. Si arriva al termine, letteralmente, senza fiato. Com'è nata questa vostra scelta e come affrontate una musica tanto intensa?
Luca: non dirlo a noi! Sì, è impegnativo, senza dubbio, ma se devo dirla tutta... pensavo molto peggio! Anche se, quest’estate, lo ammetto, ho avuto dei momenti di crisi su questo libero, e li ho avuti quando ancora non pattinavamo il libero nel suo complesso, ma “l’intervallato” (Luca ci spiega che si tratta di un lavoro aerobico che, sostanzialmente, ti fa allenare sul programma a “pezzi”, si riparte per eseguire il pezzo successivo, quando ci si è ripresi abbastanza dal precedente, ma non si è riposati e freschi).
Anna: ha trascorso un mese buono a ripetermi “questo libero non ha un lento!!”. La musica l’abbiamo ripescata dalla nostra memoria: era stata usata per l’opening di Opera On Ice lo scorso anno, Carolina era entrata in pista e noi, che dovevamo scendere sul ghiaccio poco dopo, ci siamo detti che non era affatto male. L’abbiamo conservata nella mente e, quando abbiamo iniziato la scelta dei brani per il free, l’abbiamo ritrovata, ritenendola adatta a noi, non solo perché è italiana, ma anche perché abbiamo avuto questa visione del finale di programma che, con la musica in crescendo, poteva essere la conclusione ideale di un libero olimpico.
Luca: non sappiamo come spiegarlo, è il tipo di musica che vorresti quando immagini di pattinare al meglio delle tue capacità in una finale olimpica. Una musica che sale con le tue emozioni, che ti fa dire “ce l’ho fatta”. È una sensazione che mi fa venire la pelle d’oca anche adesso, mentre ne parliamo. La scelta del Barbiere di Siviglia è stata una combinazione di fattori, ma la motivazione più profonda è il fatto che Paola tende sempre a portare, per le Olimpiadi, delle musiche italiane e secondo me questa musica in particolare, e Rossini in generale, è il vero simbolo della cultura italiana all’estero. In questa overture c’è molto del nostro Paese e dell’italianità “in toto”, senza scadere nel pacchiano, nella macchietta.
Anna: volevamo anche qualcosa di classico, ma particolare, non scontato. Io nella mia vita non ho mai visto un programma sull’overture del Barbiere di Siviglia. E, poi, l’intento era anche quello di provare qualcosa di diverso dal dramma, il che ha la sua componente di difficoltà, perché mascherare la fatica quando interpreti un ruolo di una certa intensità è più facile rispetto a quando invece ti cali in un personaggio “leggero”, che trasmette positività.
Finalmente interpretate un’opera in cui il personaggio di Anna non muore, sei contenta di sopravvivere Anna?
Anna: direi proprio di sì!
Sia nei programmi che avete presentato, sia nei galà, che naturalmente in Opera on ice avete interpretato molte arie: qual è il vostro rapporto con l'opera e come la trasferite nel pattinaggio, condensandola in pochi minuti? Dovete ridurre molti atti in un tempo ristretto: eppure avete dato vita a Traviata, Carmen, adesso al Barbiere di Siviglia...
Anna: per il Barbiere di Siviglia, rispetto alle altre opere che abbiamo interpretato, ci siamo concentrati principalmente sulla danza, più che raccontare l’intera storia. Anche considerando che pattiniamo solo l’overture e non abbiamo messo insieme vari pezzi dell’opera, come in passato, ci siamo focalizzati sulla musica e sulle emozioni che trasmette mano a mano che cambia.
Luca: quando monti un programma basato su un’opera ti ritrovi ad interpretare stati mentali diversi in pochissimo tempo, quindi, per noi è importante sapere cosa stiamo interpretando, calarci nella parte, perché non puoi spiegare al pubblico qual è il tuo ruolo in quel momento, deve essere chiaro. Alcune parti spesso si tralasciano, perché il programma verrebbe troppo lungo o perché trasporle sul ghiaccio non permetterebbe di renderle bene. Le emozioni più semplici sono quelle che funzionano di più.
Avevamo già rilevato, in passato, come Anna e Luca sappiano recitare sul ghiaccio, come in un film muto. Recentemente anche Tobel ci ha detto: Anna e Luca sono adatti ai miei spettacoli perché fanno teatro. Come si diventa attori dei propri programmi?
Anna: di questo dobbiamo ringraziare Paola e Ludmilla (Vlasova, N.d.R.) che, fin da quando eravamo piccoli, hanno sempre insistito molto sul lato interpretativo dei nostri programmi. Certo, la tecnica è fondamentale, ma per loro l’aspetto artistico non è mai stato da meno e questo ci è rimasto e contraddistingue un po’ la scuola italiana.
La scuola italiana, per l'appunto, si sta diffondendo sempre più nella danza sul ghiaccio. Sui vari kiss & cry vediamo spessissimo volti familiari come Pasquale Camerlengo, Massimo Scali, Paola Mezzadri, Barbara Fusar Poli, Maurizio Margaglio. Che ne pensate, il mondo si è accorto che l’Italia ha qualcosa da dire in questo campo?
Luca: verissimo! Noi italiani siamo sempre stati bravi, nel corso degli anni – e intendo già dagli anni ’80 – a prendere dalle altre scuole ciò che ci serviva e nel tempo stiamo prendendo sempre meno, proprio perché si sta delineando un vero e proprio stile italiano. Questo grazie agli atleti e agli allenatori del passato, ma anche del presente.
Weaver/Poje, assieme a Bobrova/Soloviev e Pechalat/Bourzat, ma perché no, anche Virtue/Moir e Davis/White, sono tra i vostri maggiori rivali: avete visto i loro programmi di gara immaginiamo, cosa ne pensate? Vedendo loro c’è qualcosa in cui pensate che siano più forti di voi e qualcosa in cui, al contrario, ritenete di avere una marcia in più?
Anna: una cosa che ammiriamo in particolare in Weaver/Poje è la loro forza mentale, è difficile che ad una gara arrivino impreparati.
Luca: sono una coppia molto solida e performante e i Mondiali 2013 ne sono stati la prova. Kaitlyn ha avuto l’infortunio e l’operazione e sarebbe stato legittimo arrivare impauriti alla gara. Invece, lei ha cavalcato l’onda e non si è lasciata intimorire. Noi guardiamo molto gli altri, ma non per una questione di rivalità, non in chiave negativa. Cerchiamo, al contrario, di fare tesoro dei pregi che notiamo nelle altre coppie, perché possano entrare a far parte anche del nostro bagaglio e arricchirlo. Ammiriamo molto Tessa e Scott perché rappresentano, anche dal punto di vista “mentale”, di approccio, il nostro ideale di coppia. Scott poi è una sagoma, è sicuro e improvvisa moltissimo sul ghiaccio. Da un allenamento all’altro noti tante differenze nella sua interpretazione.
Shpilband è un mostro sacro. Parlateci un po’ di lui e del lavoro che ha fatto con voi.
Luca: Igor è fenomenale. Un allenatore completo. Anche un motivatore, se vogliamo. Ci ha aiutato molto a migliorare la nostra professionalità, tutto è focalizzato sull’allenamento e sul rapporto di coppia. Ci ha insegnato a prendere respiro quando siamo nervosi, a lasciare da parte la negatività, perché la cosa più importante è il lavoro. E i risultati, poi, si sono visti. Abbiamo imparato a rispettare i nostri ruoli, l’uomo è la roccia, la donna deve poter contare su di lui e allo stesso tempo l’uomo si affida alla donna per altri aspetti. E questo atteggiamento mentale si vede ancora prima di entrare in pista, si può notare già fuori, negli istanti prima di venire chiamati sul ghiaccio. Virtue/Moir, come dicevo prima, sono l’esempio perfetto, secondo me, di questo equilibrio.
Anna: io per esempio sono una persona molto attenta ai dettagli, fuori dalla pista posso anche essere disorganizzata, ma sul ghiaccio mai. E se da un lato la mia attenzione anche alle piccole cose è importante e Luca lo sa, arriva sempre il momento in cui lui mi dice “ok, basta così, non puoi controllare tutto” e io so che devo fidarmi di lui. Igor ci ha dato anche una fiducia in noi stessi che noi prima, forse, stentavamo ad avere. Una frase di una semplicità estrema, ma che a noi è rimasta, è quella che ci ha detto in uno dei primi giorni “avete due braccia, avete due gambe, siete esattamente come gli altri”.
Luca: il resto lo fa la qualità del lavoro che si mette in pista ogni giorno.
Igor Shpilband e Marina Zueva hanno interrotto il loro lungo sodalizio poco più di un anno e mezzo fa, proprio a ridosso del vostro primo stage. Avete mai notato in Igor una rivalità con Marina, una voglia di dimostrare che le sue coppie possono fare meglio di quelle della sua antagonista?
Luca: lui è una persona riservatissima e molto corretta, non ha mai detto una parola sulla rottura del loro rapporto, tutt’oggi noi non sappiamo cosa sia successo. Ci è sicuramente dispiaciuto non allenarci, tra gli altri, con Virtue/Moir e Davis/White, perché sono coppie che ammiriamo molto.
Oltre che le vittorie crediamo che per un atleta sia fondamentale migliorare sempre se stesso. Voi questi miglioramenti li avete avuti, ma cosa fa fare lo “scatto”? È una questione solo tecnica o anche psicologica?
Anna: quello che ci ha dato di più in questi anni sono stati i piccoli cambiamenti nel nostro modo di lavorare che, magari, possono sembrare banalità quotidiane, ma in realtà non lo sono. Per noi è senz’altro un fattore psicologico. Il fidarsi l’uno dell’altra è fondamentale, darsi delle priorità e guardare le cose in prospettiva lo è altrettanto e anche conoscere le proprie possibilità lo è. Spesso, in passato, ci siamo posti degli obiettivi troppo ambiziosi, che in quel momento non potevamo raggiungere. Ora abbiamo imparato a prendere quello che viene guardando le cose sotto la giusta luce e aggiustando le nostre aspettative in base a ciò che sappiamo di poter fare in quel momento.
In allenamento spesso si pattina meglio. In gara la tensione può giocare brutti scherzi. Come gestirla? È possibile godersi il momento quando si pattina in appuntamenti importanti come un Grand Prix o un Mondiale?
Luca: ”godersela” non è proprio la parola adatta. Ti puoi godere quello che viene dopo, ma goderti la gara, a certi livelli, non è una cosa che noi riusciamo a fare. Poi per carità, ci può essere la volta in cui ti senti particolarmente centrato, in cui non pensi.
Anna: in realtà, più vai avanti, più sono alti gli obiettivi, più è difficile imparare a gestire la performance e godersela. E col tempo cambia anche il modo di approcciarsi alla gara. Per esempio, agli Europei di Sheffield, per la prima volta, abbiamo capito l’esigenza di Carolina di stare sola, perché anche per noi è stato così.
Nella zona del warm-up non ci deve essere nessuno che non debba esserci. Paola, che ci conosce da una vita, ci dice delle parole che non sono legate puramente alla gara, ma sono riferimenti a tutto ciò che lei sa di noi. E lei in questo è magica, sa sempre cosa dire e quando dirlo.
Luca: il bravo allenatore riesce a riassumere in pochissime parole le sensazioni su cui devi concentrarti in quel momento. A Igor a volte ne basta una, mi dice sempre “steady”, che significa “solido”, ed è quello di cui ho bisogno in quel momento.
Obiettivi per questa stagione e progetti post-olimpici?
Luca: lavoriamo per diventare la miglior coppia che possiamo essere e vorremmo scalare i podi più importanti del mondo.
Dopo Sochi abbiamo intenzione di continuare, però non possiamo dire con certezza per quanto: decideremo stagione per stagione. Abbiamo investito, comunque, tanti anni per arrivare fino a qui, ora che possiamo iniziare a raccogliere i frutti di tanto lavoro sarebbe stupido abbandonare.
Ci stiamo allenando per essere all’altezza di un podio olimpico, ma andremo a Sochi soprattutto determinati a fare il meglio che possiamo fare, ad essere gli atleti che vorremmo, al di là di risultato. Vogliamo rendere orgogliosi tutti coloro che hanno creduto in noi e spinti ad arrivare fino a qui, compreso chi ha investito su di noi, come la Federazione o le Fiamme Azzurre.
Anna, ci hai detto in passato che ti sarebbe piaciuto pattinare un programma pensato per mamma Marisa. Ci state pensando in vista, per esempio, di un eventuale galà olimpico?
Anna: la canzone che avevo in mente io è molto complicata e se lo faremo vorremmo farlo bene, quindi, ci dobbiamo pensare, ma non è in cantiere al momento. Però sì, nella mia testa c’è di sicuro nel futuro qualcosa di creato proprio per lei.
Scenari impossibili: come vi vedreste, a questo punto delle vostre vite, se non aveste fatto i pattinatori?
Anna: a me sarebbe piaciuto molto fare medicina, chissà, magari a quest’ora starei facendo tirocinio in qualche ospedale.
Luca: io non riesco a vedermi se non come sono. Ho sempre voluto pattinare e l’ho fatto. Una cosa che mi è spiaciuta è non riuscire ad approfondire la mia formazione con l’università, perché questo sport prende una grandissima fetta della mia vita e del mio tempo. Avrei voluto frequentare qualche facoltà umanistica, perché no, anche legata alla storia dell’arte. Mi sto riscoprendo un amante dei musei e delle opere d’arte.
In collaborazione con Barbara Castellaro