La Fenice

SAPEVATELO: pillole di curiosità, In aggiornamento

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sere-jules
CAT_IMG Posted on 1/7/2014, 14:16     +1   -1




Che cosa sono i tepui?

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Per gli indigeni della Gran Sabana, un altopiano del Venezuela, la parola tepui significa “casa degli dèi”. In realtà sono montagne isolate che si elevano per centinaia di metri rispetto alla pianura circostante e possiedono una cima piatta. Una formazione morfologica molto simile alla mesa, come viene chiamata in Spagna e negli Stati Uniti.

Isolati
I tepui sono spesso distanti uno dall’altro e il loro isolamento ha fatto sì che sulle loro cime si sviluppassero una fauna e una flora peculiari. Su di essi si trovano orchidee, bromeliacee (piante simili all’ananas) e spesso piante carnivore.

La maggior parte dei tepui sono composti da rocce arenacee, calcaree e quarzose e sono ciò che rimane dell’erosione da parte dei fiumi di antichissimi altopiani. Sono ambienti - dal punto di vista scientifico - molto interessanti e oggetto di numerose ricerche e scoperte, tra cui quelle di alcuni ricercatori italiani (leggi).

Uno dei più noti è il tepui Auyantepui (in lingua locale “montagna del diavolo”), che si trova in Venezuela e si estende per circa 700 km2. È famoso da quando nel 1933 vi fu scoperto il Salto Angel, che a oggi risulta la cascata più alta al mondo, con 979 m di salto.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 9/7/2014, 09:24     +1   -1




Cosa sono le ampolle di Lorenzini?

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Una coppia di squali toro. Fotografia di David Doubilet

Le ampolle di Lorenzini, così chiamate perché scoperte dal medico fiorentino Stefano Lorenzini nel 1678, sono degli speciali organi sensoriali presenti in squali e razze (Elasmobranchi), grazie ai quali questi pesci riescono a rilevare i campi elettromagnetici prodotti da altri animali, e quindi a individuare possibili prede.

Le ampolle consistono in una rete di pori che si trovano nella parte anteriore della testa da cui si dipartono delle minuscole sacche tubolari ripiene di gel elettro-conduttivo.

Inoltre, grazie alle ampolle, gli squali sono in grado di percepire il campo magnetico terrestre, quindi questi organi servono anche per l'orientamento.

Fonte: NationalGeographic
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 30/7/2014, 12:26     +1   -1




Il volo dei pipistrelli: ultrasuoni, magnetismo e luce polarizzata
I volatori notturni hanno un metodo originale per orientarsi, unico fra tutti i mammiferi.


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I pipistrelli riescono a muoversi di notte, anche al buio più completo, grazie all'eco degli ultrasuoni che emettono: ascoltandolo, riescono a costruirsi un quadro del paesaggio nei più minuti dettagli. Ma a volte si spostano di molti chilometri per andare a nutrirsi: come fanno a tornare indietro? Secondo ricercatori di università tedesche, inglesi e israeliane, che hanno pubblicato la scoperta sulla rivista Nature Communication, prima di partire riescono a "leggere" la direzione di polarizzazione della luce nel cielo e usarla come filo di Arianna, per tornare dopo avere percorso lunghe distanze.

UN SISTEMA ULTRAPRECISO. I pipistrelli usano gli ultrasuoni solo per brevi distanze, dai 5 ai 50 metri dal rifugio. Se si allontanano di molto, per tornare alla tana possono usare il campo magnetico terrestre, come se avessero una bussola in testa; si sa che lo fanno squali, insetti e uccelli. Ma l'evoluzione ha dotato i pipistrelli di un doppio sistema di controllo.

Per dimostrarlo i ricercatori hanno spostato alcune femmine di vespertilio maggiore (Myotis myotis) in una scatola, consentendolo loro di osservare la luce del cielo, al naturale o con la direzione della polarizzazione modificata. Hanno quindi scoperto che, come fanno altri animali (ma nessun altro mammifero, per quanto ne sappiamo), i pipistrelli osservano con attenzione la luce del tramonto, quando la polarizzazione è più forte.

In questo modo calibrano e rendono più preciso il senso magnetico, e quando ripartono arrivano a casa con più precisione. Gli animali che hanno osservato la luce del tramonto con una polarizzazione modificata hanno invece sbagliato la direzione del ritorno, dimostrando l'utilità della percezione.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 18/8/2014, 17:50     +1   -1




Qual è l’animale con più occhi?
C'è chi ne può avere fino a 28 mila. Scopri di che animale stiamo parlando.


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Dipende dal tipo di occhi di cui parliamo. Gli occhi composti degli insetti e dei crostacei sono costituiti da più unità ottiche autonome (dette ommatidi) che si coordinano per dare luogo alla cosiddetta visione “a mosaico”. Il maggior numero di unità si trova nelle specie che cercano il cibo e il partner volando, e il record spetta alle libellule, che possono averne fino a 28 mila.

RAGNI IN TESTA ALLA CLASSIFICA. Gli occhi semplici invece sono costituiti generalmente da un bulbo oculare, una lente e una zona sensibile alla luce (la nostra retina). Li troviamo nei vertebrati, in alcuni cefalopodi (piovra, nautilo...) e nei ragni. In questo vasto gruppo di animali, evolutivamente molto diversi tra loro, il campione è il ragno, che può avere da 6 a 8 occhi semplici.

UNO STRANO VERTEBRATO. I vertebrati hanno in genere due occhi, con una sola eccezione: il tuatara, un rettile. Considerato un fossile vivente (appartiene all’antichissimo ordine dei Rincocefali o Sfenodonti, comparso sulla Terra 220 milioni di anni fa insieme ai dinosauri più antichi), il tuatara ha un terzo occhio posto al centro del cranio, detto occhio parietale. Il terzo occhio ha piccole lenti, una retina e una connessione nervosa degenerata: deve quindi essersi evoluto da un occhio vero e proprio. La sua funzione è tuttora sconosciuta: potrebbe essere legata all’assorbimento dei raggi ultravioletti per la sintesi della vitamina D, o alla percezione del ciclo luce/buio o, ancora, alla regolazione del calore corporeo.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 8/9/2014, 12:40     +1   -1




Le stagioni si avvertono anche in fondo al mare?
Anche nelle profondità degli oceani si sentono arrivare le estati e gli inverni. Che influenzano tutte le specie marine.


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Il susseguirsi delle stagioni in superficie fa sentire i suoi effetti anche sull'ecosistema marino, ma con modalità e tempi diversi rispetto alla terraferma. La temperatura dell'acqua, infatti, che dipende dall'irraggiamento solare (e quindi dalla stagione in cui siamo), cresce o decresce più lentamente rispetto a quella dell'aria, ritardando le stagioni oceaniche di circa due mesi rispetto a quelle atmosferiche.

ALGHE IN CRESCITA. Il caldo (o il freddo) influenzano la quantità di nutrienti a disposizione del fitoplancton, l'insieme di organismi capaci di svolgere la fotosintesi che fungono da produttori primari di alimenti negli oceani: normalmente sono le acque profonde a essere ricche di nutrienti, ma quando la differenza di temperatura con le acque superficiali è ridotta al minimo (cioè d'inverno) i due strati si mescolano e - con l'arrivo della primavera e quindi di maggior luce solare - il fitoplancton può "fiorire".

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 16/9/2014, 13:35     +1   -1




I leoni uccidono i propri cuccioli?
I leoni uccidono i cuccioli, ma mai i propri figli. Ecco quello che accade.


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I leoni maschi uccidono i piccoli della propria specie, ma tale comportamento non viene mai compiuto ai danni dei propri cuccioli. Quando uno o più giovani maschi conquistano un gruppo di femmine, infatti, uccidono tutti i cuccioli in quanto figli dei capibranco appena spodestati. Questo accade perché le leonesse, una volta persi i propri cuccioli, possono entrare in estro nel giro di poco tempo, consentendo l’accoppiamento con il nuovo capobranco e la prosecuzione della sua linea genetica. Altrimenti, le femmine non sarebbero sessualmente ricettive fino alla conclusione dell’allevamento, che avviene quando i piccoli raggiungono l’età di due anni.

DISPONIBILI. I nuovi leader del branco, così facendo, liberano le femmine dalle cure parentali e le rendono subito disponibili a una nuova gravidanza. L’uccisione dei cuccioli, che a volte può sfociare anche nel cannibalismo, è comune anche in altri gruppi di mammiferi, come primati (scimmie) e roditori.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 13/10/2014, 18:34     +1   -1




Perché gli uccelli giganti non volano?
È tutta questione di peso e portanza. Ma ci sono uccelli “pesanti” che riescono a spiccare il volo ricorrendo a qualche trucchetto.


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Ci sono limiti fisici alla grandezza degli uccelli volatori, perché con il crescere delle dimensioni la superficie alare aumenta in proporzione al quadrato della lunghezza, mentre il peso aumenta in proporzione al cubo della lunghezza.

La conseguenza è che aumenta la velocità necessaria perché le ali raggiungano la portanza sufficiente a spiccare il volo. Il limite oltre il quale un uccello non riesce a volare è circa 27 kg. Uccelli come gli struzzi (Struthio camelus), con un’altezza fino a 2,75 m e peso fino a 105 kg, non volano.

IN VOLO CON IL TRUCCO. I volatori più grandi sono l’albatro urlatore (Diomedea exulans), detentore del record di apertura alare (3,2 metri), e l’otarda di Kori (Ardeotis kori), che ha il record di peso (circa 20 kg). Alcune specie “pesanti” riescono a spiccare il volo ricorrendo a due stratagemmi: prendono una lunga rincorsa, come fanno cigni e albatros, oppure si gettano da una rupe, come i condor.

Fonte: Focus
 
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sere-jules
CAT_IMG Posted on 30/11/2014, 13:49     +1   -1




È vero che i pesci sono muti?
Si dice "muto come un pesce", ma è vero che i pesci non emettono suoni?


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I pesci hanno molti metodi per comunicare: per esempio usano i colori della livrea, o rilasciano sostanze chimiche. E alcuni emettono suoni. Lo sa bene chi abita vicino al mare e, nelle notti estive, sente quasi vibrare la casa: colpa del canto d’amore di un pesce lungo 25 cm, il pesce cadetto (Porichthys notatus), che emette un ronzio per attirare le femmine e far loro deporre le uova. Produce un tale frastuono che, per evitare di assordare anche se stesso, ha elaborato un trucco: mentre alcuni impulsi nervosi segnalano ai muscoli intorno alla vescica natatoria di vibrare e generare il suono, altri inibiscono la sensibilità dell’orecchio.

PESCI CHIACCHIERONI. I ricercatori hanno poi registrato suoni e richiami prodotti da ombrine, anguille, rane pescatrici e tanti altri pesci, paragonati al rumore di migliaia di voci insieme. I pesci sono dunque più “chiacchieroni” di quanto si pensi e, in genere, le ore giuste per la chiacchiera sono al mattino presto e al crepuscolo.

Fonte: Focus
 
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Giains
CAT_IMG Posted on 13/3/2015, 15:33     +1   -1




Come fanno i camaleonti a cambiare colore?

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Se i camaleonti, in particolare modo quelli appartenenti alla specie Furcifer pardalis sanno cambiare colore in maniera spettacolare, devono dire grazie a dei minuscoli cristalli in grado di assumere rapidamente sfumature diverse.

La pelle di questi camaleonti contiene non uno ma ben due strati di cellule che contengono questi cristalli, come riporta uno studio dell'Università di Ginevra appena pubblicato su Nature Communications. Lo stiramento o il rilassamento di queste cellule, cambiando il colore della luce riflessa, consente all'animale di cambiare colore.

Solo i maschi adulti di Furcifer pardalis posseggono questo strato superiore di cellule - dette iridofori - completamente svuluppato, e lo utilizzano non per mimetizzarsi ma per attrarre le femmine o per intimidire i maschi rivali. Quando l'animale è in uno stato di rilassamento e quindi i cristalli sono più ravvicinati, questi riflettono luce azzurra, la quale a sua volta, combinata con i pigmenti gialli della pelle, fanno apparire il camaleonte verde. Lo stiramento delle cellule invece, con il conseguente aumento della distanza fra i cristalli, produce una varietà di colorazioni che vanno dal giallo al rosso.

Tutti i camaleonti sono provvisti di uno strato più profondo di iridofori che riflettono uno spettro di luce più ampio, soprattutto nell'infrarosso vicino.? Gli scienziati ipotizzano che queste cellule più profonde aiutino l'animale a sangue freddo a regolare la propria temperatura corporea, mentre quelle più superficiali servano ai mutamenti di colorazione nel corteggiamento o per intimorire i rivali.

Fonte: National Geographic
 
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Giains
CAT_IMG Posted on 10/4/2015, 16:03     +1   -1




Perché il Mar Rosso si chiama così? #Sapevatelo



Secondo la spiegazione più scientifica il Mar Rosso deve il suo nome all'alga Trichodesmium erythraeum che, in alcuni periodi dell'anno, in base a particolari condizioni climatiche, si riproduce dando vita a estesissime macchie rosso-brune che velano la superficie dell'acqua.

Per i più romantici, però, il nome viene dalle sfumature assunte dal mare quando, al tramonto, l'acqua rispecchia la roccia rossastra dei rilievi montuosi che circondano la Penisola del Sinai. In Ebraico, in effetti, queste montagne vengono chiamate Montagne Rubino.

Un'ultima spiegazione deriva invece il nome da un errore di traduzione dall'ebraico all'inglese: nell'Antico Testamento in lingua originale, il Mar Rosso è chiamato yam suph, che gli anglosassoni tradurrebbero in sea of reeds (mare di canne). In seguito a un refuso o un'errata interpretazione, reed divenne quindi red (rosso).

Fonte: National Geographic
 
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Giains
CAT_IMG Posted on 30/4/2015, 22:33     +1   -1




Cani e gatti possono essere allergici agli umani? #Sapevatelo

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La primavera è la stagione delle allergie, un fastidioso inconveniente che investe anche i nostri animali domestici. Pochi sanno però che più che soffrire di allergie stagionali, cani e gatti possono essere allergici gli uni agli altri, o persino a noi umani. Secondo Raelynn Farnsworth, del College of Veterinary Medicine della Washington State University, "è raro, ma i gatti possono essere allergici al pelo o ai frammenti di pelle rilasciati dai cani e degli umani, e viceversa".

Nei gatti, i sintomi dell'allergia si manifestano come dermatiti miliari (cioè caratterizzate dalla comparsa di vescichette simili a grani di miglio e mancanza di pelo) generalmente - ma non esclusivamente - localizzate attorno alla testa e al collo dell'animale. Nei cani invece i sintomi più comuni di allergia sono l'infiammazione della pelle e prurito, dice Farnsworth, ma anche starnuti e naso gocciolante.

Ma che fare se un animale è allergico al suo umano?

"Per chi ha un cane o un gatto scoprire che l'animale ha un'allergia nei suoi confronti è sempre una brutta notizia", dice Christine Cain della facoltà di veterinaria della University of Pennsylvania, ma non è necessario che i due si separino. "In genere, se un animale è allergico all'uomo lo è anche ad altri allergeni", aggiunge Cain. Il che significa che il veterinario può curare l'animale con farmaci che, contenendo piccole quantità dell'allergene, abituano l'organismo del paziente a ignorarlo.

Fonte: National Geographic
 
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Giains
CAT_IMG Posted on 7/5/2015, 21:50     +1   -1




Perché i lupi ululano? #Sapevatelo



L'ululato è uno dei versi più affascinanti del mondo animale. Secondo Doug Smith, biologo del Yellowstone National Park, in Wyoming, i lupi emettono questo verso per tre ragioni. La prima è "comunicare ad altri lupi che quello è il loro territorio, o di tenersi alla larga"; un'altra ragione è per trovare altri membri del proprio branco quando si allontanano (l'ululato dei lupi si può udire a chilometri di distanza); infine, a scopo di socializzazione, per mantenere i rapporti all'interno del branco.

Gli ululati dei lupi hanno anche una "forte componente stagionale", dice Smith. "È interessante notare ad esempio che nel periodo che trascorrono nelle tane, gli ululati si riducono praticamente a zero". Questo perché i branchi con cuccioli non vogliono che altri animali possano localizzarli, e quindi esporsi a un rischio. I lupi però non sono gli unici animali che ululano: lo fanno anche altri canidi, come gli sciacalli, i coyote e i cani. Tutte e tre le specie di sciacalli ululano "per respingere gli intrusi e richiamare membri del branco", spiega Craig Sholley della African Wildlife Foundation. Ululare in coro, secondo lo studioso, "rinforza i legami familiari e stabilisce l'appartenenza di un dato territorio".

La maggior parte dei cani domestici non emette dei veri e propri ululati (a eccezione degli husky siberiani, o degli alaskan malamute, più strettamente imparentati ai lupi) quanto piuttosto delle vocalizzazioni che servono perlopiù a richiamare l'attenzione del padrone o a placare l'ansia da separazione, dice la veterinaria Barbara Sherman della North Carolina State University.

Fonte: National Geographic
 
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Giains
CAT_IMG Posted on 8/5/2015, 23:08     +1   -1




Come si è formata la Luna? #Sapevatelo



Se è vero che il diavolo si annida nei dettagli, la storia della nascita della Luna deve essere stata infestata di demoni per decenni. Certo, gli scienziati pensano di sapere più o meno in che modo sia nato il nostro satellite: circa 4,5 miliardi di anni fa, poco dopo la sua formazione, una neonata Terra si è scontrata con un oggetto delle dimensioni di Marte chiamato Theia. La collisione ha cancellato Theia e ha scagliato detriti incandescenti in orbita attorno al nostro pianeta. Dopo centinaia di milioni di anni, quei resti si sono fusi a formare la sfera luccicante che vediamo nel nostro cielo notturno.

Il problema è che fino a oggi diverse importanti osservazioni non coincidevano con quella che viene chiamata l'ipotesi dell'impatto gigante. Tre recenti studi pubblicati su Nature potrebbero però rappresentare la svolta decisiva per esorcizzare alcuni di quei demoni, con un piccolo aiuto di qualche computer, di un oceano di magma volante e di una manciata di oggetti delle dimensioni di Plutone.

Il problema più diabolico di tutti: Terra e Luna sono composti da materiali troppo simili per il classico scenario dell'impatto gigante. Se la Luna fosse formata principalmente dai frantumi di Theia, la sua composizione chimica dovrebbe somigliare a quella di questo ipotetico pianeta. E assumendo che Theia venisse da un'altra zona del sistema solare, come fanno gli scienziati, allora Theia e quindi la Luna dovrebbero essere corpi celesti con ingredienti diversi di quelli della Terra, e dovrebbero quindi avere rapporti diversi tra isotopi (atomi con un numero variabile di neutroni nei loro nuclei). Ma quando gli scienziati hanno studiato le rocce lunari portate a casa durante il programma Apollo, hanno scoperto che gli isotopi sulla Terra e la Luna erano inquietantemente simili.

"Questa cosa è davvero misteriosa. Abbiamo questo grande modello che ci dice come si è formata la Luna, e che si adatta alla perfezione a dati veramente importanti. Però abbiamo il problema degli isotopi", dice Bill Bottke del Southwest Research Institute.

Come spiegare, allora, le somiglianze? Secondo un'ipotesi proposta nel 2012, la Luna potrebbe essersi formata accumulando i resti terrestri dell'esplosione tra Terra e Theita piuttosto che dai residui di quest'ultima. Ora però, la ricercatrice italiana Alessandra Mastrobuono-Battisti e i suoi colleghi hanno proposto una soluzione ancora più semplice in uno degli articoli di Nature: secondo le simulazioni al computer che hanno fatto del giovane sistema solare, è molto probabile che la Terra e Theia fossero simili, perché cresciuti nello stesso quartiere.

"I pianeti che crescono nello stesso ambiente sono più propensi a scontrarsi tra di loro", spiega Mastrobuono-Battisti, dell'Istituto Israeliano di tecnologia. Quando la sua squadra ha simulato la formazione e lo scontro di pianeti, ha visto che almeno il 20 per cento degli scontri giganti coinvolgevano pianeti simili. Venti per cento può non sembrare molto, ma è una cifra dieci volte superiore alle stime precedenti, che suggerivano che la probabilità di un tale impatto fosse irrisoria.

Ma la teoria dell'impatto gigante non è ancora esente da qualche demone. Viene fuori, infatti, che non tutti gli elementi delle rocce lunari e del mantello terrestre sono poi identici. Uno, in particolare, è abbastanza diverso da causare problemi. Quell'elemento è il tungsteno. O meglio, un isotopo leggero chiamato tungsteno-182. Secondo i rimanenti due studi pubblicati su Nature, le rocce lunari hanno una maggiore abbondanza di tungsteno-182 rispetto alla Terra. La differenza è così lieve, circa 25 parti per milione, che gli scienziati non riuscivano a rilevarne la presenza prima del recente sviluppo di test altamente sensibili.

La spiegazione è abbastanza semplice, dopotutto. Una volta che la Terra e la Luna si sono formate, sostengono entrambi i team di ricercatori, gli isotopi più pesanti di tungsteno sono stati consegnati dall'impatto di oggetti celesti delle dimensioni di Plutone, oggetti abbastanza grandi da causare una brutta giornata a qualcuno, ma non così grandi da creare lune in cielo. Da qui la differenza nell'abbondanza di tungsteno-182 che registriamo oggi. Fino a quel momento, però, "la Luna e il mantello terrestre avevano identiche firme di tungsteno-182", dice l'autore dello studio Thomas Kruijer del Westfälische Wilhelms-Universität Münster in Germania. E questo è di nuovo problema per la teoria dell'impatto gigante.

A differenza di altri isotopi come l'ossigeno, infatti, la presenza di tungsteno non può essere spiegata da fattori ambientali, da dove un corpo celeste è cresciuto. "Non ha niente a che fare con gli elementi di base dei due corpi", spiega Richard Walker dell'Università del Maryland, autore di uno dei due studi. La presenza di tungsteno dipende da un altro dato sensibile: la quantità di tempo passata dalla formazione del nucleo di ferro di un corpo. Ed è altamente improbabile che i nuclei della Terra e di Theia si siano formati nello stesso periodo.

Spiegare come il tungsteno-182 sia apparso sulla Luna e sula Terra porta quindi alla spiegazione più strana di tutte: oceani di magma volanti. In sostanza, l'impatto gigante avrebbe generato una nube surriscaldata di polvere e gas in orbita attorno alla Terra, dice Walker. Il vorticante disco di detriti incandescenti è poi rimasto nei paraggi abbastanza a lungo da finire per scambiare materiale con il mantello terrestre. Per decine, forse centinaia o migliaia di anni, i due corpi sono rimasti in contatto cancellando le differenze chimiche tra i mondi.

Gli oceani volanti di magma e le collisioni di oggetti delle dimensioni di Plutone potrebbero spiegare l'impronta digitale di tungsteno, ma non fanno parte, purtroppo, della storia dell'impatto gigante. "Sono in uno stato confusionale. Dei tre paper pubblicati uno rende la vita più facile, gli altri la rendono più difficile", dice Bottke. "Forse ci sta sfuggendo qualcosa. Una risposta ci deve essere".

E in effetti una risposta c'è, ed è appesa nei nostri cieli. Ci vorrà solo ancora un po' di tempo perché la Luna sveli tutti i suoi segreti.

Fonte: National Geographic
 
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CAT_IMG Posted on 10/5/2015, 20:21     +1   -1




wow!
 
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Giains
CAT_IMG Posted on 30/7/2015, 09:58     +1   -1




Come si forma una tromba d'aria?
Sono tra i fenomeni meteorologici più violenti, con venti che possono toccare i 500 km/h: ecco come si formano trombe d'aria e tornado in Italia



La tromba d'aria che ieri si è abbattuta sulla cittadina di Dolo e sugli altri paesi limitrofi della Riviera del Brenta (in Veneto), devastando alberi e case e causando la morte di una persona e il ferimento di 30 abitanti, riporta all'attenzione il tema di un fenomeno meteorologico più comune di quanto si creda nella nostra Penisola.

In Italia, i venti caldi e umidi provenienti da sud scorrono, negli strati bassi dell'atmosfera (cioè tra 0 e 1.000 m), al di sotto di venti freddi e secchi presenti in quota (fino a 5.000 metri) e provenienti da nord, nord-ovest. L'aria calda dei venti di bassa quota sale verso l'alto mentre l'aria fredda dei venti di alta quota scende, creando un cilindro d'aria rotante parallelo al suolo. A questo punto, le correnti calde ascendenti spingono verso l'alto un'estremità del cilindro, che sollevandosi continua a ruotare con l'asse perpendicolare al suolo: il tornado si è formato. L'aria in rotazione può raggiungere anche i 500 km/h ed esercitare sugli oggetti a terra pressioni fino a una tonnellata per metro quadrato.


1. L’aria calda in salita si scontra con aria fredda e asciutta che scende verso il basso.
2. Il flusso di aria calda si espande formando una nube temporalesca.
3. I venti laterali accentuano il moto rotatorio dell’aria calda in risalita: il tornado si rafforza.


Le trombe d'aria sono, senza dubbio, i vortici nell’atmosfera più impressionanti che un uomo possa osservare. «La loro formazione è complessa e non sono ancora chiari tutti i meccanismi coinvolti. Siamo certi che sia necessaria la presenza al suolo di aria umida e calda, di aria più fredda in alta quota e di venti con direzioni e velocità diverse. In queste condizioni, le masse d’aria in risalita possono avvitarsi in un moto rotatorio che dà origine al vortice del tornado» spiega Andrea Giuliacci, docente di Fisica dell’Atmosfera presso l’Università Bicocca di Milano.

Il mistero è che, a volte, pur partendo da condizioni iniziali del tutto simili, non si forma nessuna tromba d'aria. Ciò significa che bastano impercettibili variazioni per far morire sul nascere il potenziale vortice d’aria.

Le trombe marine. Le trombe marine - anch'esse tutt'altro che infrequenti in Italia - sono un fenomeno molto simile, ma hanno il loro campo d’azione sui mari. Nonostante alcune leggende che parlano di intere navi aspirate verso il cielo, la loro violenza è generalmente inferiore rispetto a quella delle trombe d’aria terrestri. Con alcune eccezioni, come la tromba marina osservata nel 1898 vicino a Eden, in Australia, che avrebbe raggiunto l’incredibile quota di 1.500 metri.

Fonte: Focus
 
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